10 Mag Seveso
Seveso è una piccola cittadina situata nella bassa Brianza, pochi chilometri a sud di Milano. Da oltre trent’anni il suo nome è associato ad uno dei disastri ambientali più devastanti nell’intera storia dell’umanità. Nell’estate del 1976 infatti una nube tossica, proveniente dagli stabilimenti dell’impianto chimico dell’Icmesa situati nella vicina Meda, coprì il suo cielo. Quella nube era carica di un violento gas che tutti presto avrebbero imparato a conoscere e ad additare con il nome di diossina. Al momento dell’incidente non vi furono morti, nonostante quasi 200 persone furono colpite da cloracne, una pericolosa dermatosi provocata dall’esposizione ai gas cancerogeni che creò lesioni e cisti sebacee sui corpi di tutte le vittime. La maggior parte di esse erano bambini che si trovavano a giocare all’aperto, ignari della tragedia che si stava consumando. Il danni provocati dall’incidente di Seveso c’è da dire, non furono purtroppo “soltanto” questi.
Nei giorni immediatamente successivi, su tutto il territorio della cittadina e di quelle limitrofe centinaia di capi di bestiame furono abbattuti, mentre gli orti ed i campi coltivati erano già bruciati dalla forte carica corrosiva della diossina. Come se non bastasse, nel corso dei trent’anni successivi diverse madri diedero alla luce figli imprigionati da malformazioni genetiche più o meno gravi. Gli scienziati e gli epidemiologi oggi come allora furono concordi nell’ascrivere la responsabilità di questi ed altri drammatici accadimenti alla furia cancerogena della nube tossica di Seveso.
L’incidente dell’Icmesa involontariamente diventò ben presto lo specchio in cui dovette riflettersi tutta l’Italia: siamo sulla fine degli anni ’70, il paese è in pieno boom economico ed in quei giorni di luglio sembra essere completamente distratto rispetto alle urla ed alle richieste d’aiuto provenienti dalla Brianza. Era quasi come se nessuna autorità fosse preparata ad un simile incidente, tanto che le comunicazioni di allerta ed i soccorsi vennero inoltrati alla cittadinanza solo una settimana dopo l’esplosione del reattore e la conseguente fuga di veleno.
Per contro, il disastro di Seveso portò alla ribalta dell’opinione pubblica nazionale anche la questione dell’aborto: per paura di mettere alla luce figli afflitti da gravi malformazioni molte madri richiesero espressamente la possibilità di interrompere artificialmente le loro gravidanze, facendo certo breccia nell’opinione pubblica ed influendo sicuramente sugli esiti del referendum che di lì a qualche anno si sarebbe tenuto proprio sulle questioni dell’ “interruzione volontaria della gravidanza”.
Da ultimo il capitolo dei risarcimenti: negli anni ’90 le industrie chimiche ree della catastrofe si affrettarono a distribuire alla popolazione i circa 180 miliardi di vecchie lire per riparare ai “danni biologici” a loro inflitti, mentre è dei primi anni del 2000 una sentenza della corte di cassazione che prevede il pagamento di “danni morali” ai cittadini colpiti dalla sciagura dell’Icmesa, industria facente capo al colosso svizzero La Roche. Oggi sopra le rovine del suo distretto sorge un maestoso parco naturale chiamato “Bosco delle Querce”, fortemente voluto dalla popolazione, che comprendeva la zona più inquinata dallìincidente del 10 luglio 1976, la così detta “Zona A”, con un’estensione complessiva di quarantatre ettari, trentacinque dei quali nel territorio di Seveso e otto in quello di Meda.
Questa operazione ha rappresentato il primo esempio al mondo di bonifica da inquinamento chimico con interessamento di zona abitata e rappresenta forse l’unica consolazione per una popolazione che ancora oggi sconta il peso di quel terribile disastro.
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