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Carpet – Elysian Pleasures – Elektrohasch 2013 – Review

23 Giu Carpet – Elysian Pleasures – Elektrohasch 2013 – Review

Il fascino degli oggetti che sembrano avere attraversato il tempo per arrivare fino ai giorni nostri. Lo stupore di renderti conto – abbastanza in fretta per altro – che il viaggio nel tempo va letto esattamente al contrario: I Carpet sono una band formata ad Augusta in Germania e le loro prime tracce sonore risalgono al 2009 con l’album di debutto The eyes in the heart mirror.

Il disco in questione non è datato 1972 ma 2013, il che rende tutto abbastanza interessante. Perchè ne scrivo? Perchè nonostante il mood pacato e fluttuante – non adatto a tutti i giorni dell’anno, specie a quelli dove vorresti spaccare tutto – questo disco coinvolge e stupisce, anche dopo ascolti reiterati.

Il sound dei Carpet è un mix di Robert Wyatt, Hatfield & The North e King Crimson, mescolati con un’attenzione tutta nordica per la ricerca del suono che finisce per comprendere all’interno del tessuto sonoro xilofoni, sax, mellotron, tastiere hammond, chitarre, cembali e sintetizzatori.

Agli ingredienti aggiungete poi tanta Svezia, QOTSA (i migliori episodi dell’ultimo periodo), Hypnos 69, Dexter Jones’ Circus Orchestra e Wolf People, e il cocktail è servito.

Il disco si apre con la titletrack Elysian Pleasures, che – a proposito di Svezia – mette insieme i migliori Motorpsycho di Little Lucid Moments, alle prese con un immaginario outtake sinfonico di …Like Clockwork… di Josh Homme e soci. Il risultato è sorprendente.

Nearly Four è il video-singolo che mostra il fianco più rock della formazione: suoni high-fi, riff old school. L’omaggio a Robert Fripp è più che una sensazione, ma è suonato lento e abbastanza pesantemente, tanto da incarnare una perfetta miscela prog – stoner – psych in linea con il resto del catalogo dell’Electrohasch, etichetta bavarese fondata da Stephen Koglek, deus ex-machina dei Colour Haze. 

Si prosegue in un viaggio fatto di brani come Man Changing the Atom, lungo mantra in cui un sassofono free jazz canta sopra un tappeto magico fatto di hammond e cembali, passando per In Tides dove il prog esplode in un contrappunto fatto di chitarre,  marimba e xilofoni per arrivare a Serpentine, uno degli episodi più coinvolgenti del disco dove gli arrangiamenti sono costruiti per adagiarsi intorno a una struttura circolare in cui è obbligatorio perdersi.

Bird’s Nest, è una ballad in cui riecheggiano atmosfere di saudagi per i paesaggi sonori natii, isole sperdute in un ipotetico oceano tropicale dove però sono arrivati tutti i dischi dei Radiohead, sicuramente Hail to the Thief, mentre Smoke Signals è un solare inno pop con cadenze folk.

Nell’ultima immensa suite finale trovano spazio orizzonti floydiani, quelli della parte centrale di echoes, dove galleggiano raggi di luce fatti di sequencer, mellotron e Squali Gialli di Zappiana memoria.

Difficile valutare un disco come questo, ma quando capita di finire un ascolto e dire “Ne voglio ancora!” vuol dire che ci siamo.

Quest’anno è uscito il 3° capitolo della saga, intitolato Riot Kiss. Devo trovare il tempo di fermarmi ed ascoltarlo sperando che sia gustoso come il suo predecessore. Intanto qui sotto puoi ascoltare tutto Elysian Pleasure, giusto per entrare nel mood:

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